Se è la bella a salvare la bestia
L’immaginazione di Guillermo del Toro è fluida e in costante espansione, in grado di intrecciare temi, generi e territori narrativi apparentemente non correlati, con un potere visivo travolgente. C’è un filo comune che tiene insieme molte delle sue opere: il mostro, il Male, la favola, l’illusione e il sogno. Con La forma dell’acqua torna in territori familiari, affidandosi ancora una volta all’ispirazione del cinema passato e della settima arte come possibile lente di ingrandimento e chiave di interpretazione della storia. La forma dell’acqua racconta una storia di resistenza, amore e passione in modo immaginativo e narrativamente fragile, ma visivamente sorprendente. Tratto dal romanzo omonimo di Daniel Kraus e dello stesso del Toro, racconta l’improbabile storia d’amore tra Elisa Esposito, addetta alle pulizie affetta da mutismo, e una creatura anfibia tenuta prigioniera in un laboratorio governativo durante la Guerra Fredda. La forma dell’acqua, vincitore di un Oscar, trasporta lo spettatore in un mondo fantastico pieno di intrighi, passione e momenti strazianti. Sally Hawkins, Richard Jenkins, Octavia Spencer e Michael Shannon offrono delle interpretazioni formidabili che aggiungono profondità e autenticità a questa fiaba moderna.
Una fragile eroina, un amore impossibile. Un amore anche carnale, passionale: Elisa è una Ofelia cresciuta, è una donna che non è destinata alle gabbie dorate e alla sessualità liofilizzata delle casalinghe messe in scena nei melodrammi familiari hollywoodiani degli anni Cinquanta e Sessanta. In questo spaccato degli Stati Uniti degli anni Sessanta, filtrato dalla vorace cinefilia di Del Toro (che ci dice apertamente che i suoi paladini sono creature partorite dalla Settima arte), Elisa è una scheggia impazzita, è una femme fatale insospettabile, è già oltre i diritti civili, oltre la rivoluzione sessuale, proiettata verso un mondo nuovo, altro.
– Enrico Azzano, La vita è il naufragio dei nostri piani, quinlan.it